Con l’ordinanza n. 29999/2020 la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di affidamento, stabilendo che vanno col padre i figli la cui madre non li capisce e alimenta il conflitto.
La vicenda traeva origine dalla revoca da parte della Corte d’Appello del provvedimento con cui il Tribunale dei minori aveva dichiarato la decadenza dalla responsabilità genitoriale di una madre, attribuendola al padre, al quale aveva affidato in via esclusiva la prole, lasciandolo libero di decidere su tutte le questioni, senza il necessario consenso della donna.
La Corte, in base alla perizia formulata dal CTU, invitava la madre a seguire un percorso di terapia, oltre a disporre a suo carico il versamento di un assegno di mantenimento di 800 euro per i figli. Secondo il giudice del gravame la decadenza della madre dalla potestà genitoriale era stata dichiarata in assenza di prove sulle asserite violazioni da parte della donna dei propri doveri genitoriali. In ogni caso, la condotta della donna non era grave a tal punto da giustificare l'adozione di un così severo provvedimento. Risultava invece giusta la valutazione sulle difficoltà della donna di sintonizzarsi con le necessità dei figli e comprendere i propri errori anche in relazione all'alimentazione del conflitto genitoriale. Situazione che nel caso in esame doveva trovare soluzione mediante l'affidamento super esclusivo della prole al padre, evitando tuttavia di privare la madre della propria responsabilità genitoriale.
A questo punto, il caso approdava in Cassazione, davanti alla quale la ricorrente, tra i vari motivi sollevati, contestava la contraddittorietà della decisione assunta dal giudice del gravame, in quanto, pur avendo considerato la sua condotta non così grave da portare alla decadenza dalla sua responsabilità genitoriale, aveva ravvisato l'esistenza dei presupposti necessari all'applicazione dell'affido esclusivo.
Il Tribunale Supremo, poiché riteneva i motivi infondati ed inammissibili, rigettava il ricorso.
Durante il giudizio d’Appello era venuto in luce che la donna non aveva compreso i suoi errori e non aveva preso consapevolezza del fatto che la sua condotta fomentava il conflitto, cronicizzandolo. La madre non era stata capace di instaurare un rapporto affettivo e relazionale con la prole, a tal punto da non essere stata ritenuta all’altezza di svolgere una funzione educativa, tenendo in questo modo una condotta pregiudizievole.
Per i Giudici di legittimità era giusta la decisione di lasciare ai minori la scelta d'incontrare la madre, nel rispetto del principio di autodeterminazione. Il giudice, laddove accerta che un genitore viola o trascura i doveri genitoriali o abusa dei suoi poteri con grave pregiudizio per i figli, può anche decidere di non pronunciarsi sulla decadenza della responsabilità genitoriale. Il Giudicante infatti “può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore convivente che maltratta o abusa del minore”.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Tutela del minore e mandato d’arresto europeo
In tema di mandato d’arresto europeo non può essere rifiutata la consegna allo Stato richiedente, solo perché la persona alla quale lo stesso si riferisce sia madre di prole con lei convivente, di età inferiore ai tre anni
L’autorizzazione alla consegna della madre
Nel caso in esame, la Corte d’appello di Messina aveva disposto la consegna di una donna alle competenti autorità giudiziarie della Svezia, in considerazione del M.A.E. emesso dalla Corte distrettuale di Stoccolma nell’ambito di un procedimento penale pendente che vedeva coinvolta la donna per reati tributari commessi in qualità di legale rappresentante di due società con sede in Svezia.
La Corte territoriale italiana aveva disposto la consegna della donna non avendo ritenuto fondate le ragioni avanzate dalla difesa in relazione, tra l’altro, alla sua condizione di madre di una bambina di età inferiore ai tre anni.
Avverso tale decisione veniva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, evidenziando, tra i diversi motivi d’impugnazione, la ritenuta violazione dell’“art. 1 comma 3 della Decisione quadro 2002/584/GAI, correlato all’art. 48 Carta di Nizza, ed all’art. 2 Cost. in relazione all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE) ed all’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), per effetto della mancata considerazione della condizione di madre di una bambina di due anni”.
A tal proposito, la difesa aveva evidenziato che è “onere dell’autorità giudiziaria dello Stato richiesto verificare se l’esecuzione del mandato di arresto europeo possa essere lesivo delle garanzie costituzionali e dei diritti fondamentali garantiti dalle convenzioni sovranazionali”. In ragione di tale onere, spiega la difesa, la Corte aveva errato nel non aver compiuto alcun vaglio circa il danno che sarebbe derivato a carico della figlia della ricorrente dall’esecuzione del mandato, visto il suo radicamento in Italia, nonché le relazioni create con le insegnanti e con i compagni di classe.
Cassazione: l’onore probatorio spetta alla parte
La Suprema Corte, con sentenza n. 51798/2023, ha ritenuto il ricorso non fondato.
Per quanto in particolare attiene al motivo di ricorso oggetto del presente esame, la Corte ha ritenuto non fondata la ritenuta violazione normativa incentrata sulla qualità della ricorrente quale madre di bambina di due anni, essendo intervenuta l’abrogazione dell’art. 18, lett. p), della legge n. 69/2005.
Sul punto, osserva la Corte, l’art. 2 della legge n. 69/2005 non consente l’introduzione di motivi di rifiuto alla consegna diversi ed ulteriori da quelli previsti dalla legge quadro di derivazione europea, così come anche affermato dalla Corte Costituzionale nell’ordinanza n. 216/2021 che ha messo in rilievo che, l’esigenza di garantire l’uniformità e l’effettività della normativa a livello europeo, non consente alle autorità giudiziarie degli Stati richiesti di rifiutare la consegna al di fuori dei casi espressamente previsti dalla normativa sul M.A.E. In questo senso, prosegue la Suprema Corte “il d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10 ha operato una generalizzata soppressione di tutte le disposizioni interne difformi dalla disciplina europea al fine di adeguare la normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI relativa al mandato di arresto europeo”.
Inoltre, la soppressione del sopracitato art. 18, lett. p), secondo quanto riferisce il Giudice di legittimità “si giustifica sulla base della presunzione che negli Stati UE la tutela delle madri di figli di tenera età è assicurata nei sistemi processuali-penali in modo coerente ai principi di diritto affermati anche dalla convenzione europea”.
Quanto detto è anche confermato sul piano normativo, dalla direttiva (UE) 2016/800 che tutela, a livello europeo, il superiore interesse del minore indagato o imputato e che impone agli Stati membri il rispetto delle garanzie procedurali nei loro confronti, conformemente a quanto previsto dalla CDFUE; ne consegue che, se tali garanzie sono previste ed assicurate da tutti gli Stati che hanno firmato la CDFUE, nei confronti dei minori indagati ed imputati, allora le stesse sono tanto più applicate in favore dei figli minorenni della persona di cui è stata richiesta la consegna. Tale presunzione “costituisce il fondamento dell’emissione del mandato di arresto europeo, ed è onere della parte allegare elementi concreti di valutazione che possano suffragarne la violazione da parte dell’ordinamento dello Stato emittente, che non può essere perciò dedotta in modo soltanto ipotetico e astratto”.
La Corte conclude quindi il proprio esame sul punto ribadendo che è “onere della parte allegare circostanza concrete che dimostrino che nello Stato richiedente vi siano sistemiche carenze strutturali che non consentono di tutelare i diritti del minore, e solo se tali carenze risultino dimostrate si giustifica il rifiuto della consegna”, questo in quanto “il rifiuto di eseguire la consegna è concepito come una eccezione che deve essere interpretata restrittivamente”